di Chathaubriand - Sopra la caduta dell'impero Romano. 1836
"I capitani delle nazioni barbare avevano come queste un non so che di straordinario. In mezzo allo scuotimento sociale ATTILA pareva nato per atterrire il mondo; egli era l'uomo dello spavento, e l'opinione volgare lo reputava formidabile. I suoi modi erano superbi, traspariva la sua potenza in ogni suo atto, fino nello sguardo. Cupido di guerra, sapeva però frenare all'uopo questo ardore, saggio si mostrava in consiglio, non era inflessibile coi supplichevoli, favoriva coloro che gli si legavano con fede.
La statura piuttosto bassa, le spalle larghe, la testa ancora più larga, gli occhi piccoli, la barba rada, i capelli brizzolati, il naso camuso, la tinta bruna indicavano la sua origine. (1)La sua capitale era un campo od un grande ovile nei pascoli del Danubio: i re che egli aveva debellati dovevano ciascuno alla lor volta vegliare alla porta del suo abitacolo; le sue donne abitavano capanne intorno alla sua dimora. Abbandonava ai suoi compagni d'arme i vasi d'oro e d'argento conquistati, capi d'opera delle arti greche, mentre forniva le sue mense di piatti di legno e di grossolane imbandigioni (2).
Assieme a queste mense, dal suo sgabello, riceveva gli inviati di Roma e di Costantinopoli. Al suo lato faceva sedere non gli ambasciatori, ma oscuri Barbari, suoi generali e capitani: beveva alla loro salute, e dopo aver magnificato il suo vino, concedeva grazia ai gia conquistatori del mondo (3).
Quando si pose in cammino per le Gallie, trasse con se una turba di principi tributari, i quali aspettavano, senza far motto e tremanti, il cenno di questo soggiogatore di monarchi per eseguire ogni comando (4)Popoli e capitani compivano una missione che essi stessi non conoscevano: da ogni parte approdavano costoro ai lidi della desolazione, altri a piedi, altri a cavallo o sopra carri, altri tirati da cervi, o sopra barche di cuoio e di corteccia. Navigatori intrepidi fra i ghiacciai del Nord come fra le tempeste di Mezzodì, pareva che essi avesser veduto scoperto il letto dell'oceano.(5-6)
I Vandali che poi passarono in Africa, andavano dicendo che questa impresa era loro suggerita piuttosto da un irresistibile impulso che dal loro desiderio.
Queste reclute del Dio degli eserciti non erano altro che ciechi esecutori di un eterno disegno: donde quel furore di distruzione e sete di sangue; quella meravigliosa combinazione di ogni cosa per mutare il destinato evento: viltà fra gli uomini, deficienza di coraggio, di virtù, di intelligenza, di genio.Genserico -l'altro re dei Vandali- era tetro, soggetto agli eccessi di una nera malinconia; fra gli sconvolgimenti del mondo, egli appariva grande, perchè si innalzava sopra le rovine. In una sua spedizione marittima era allestita ogni cosa, egli stesso sulla nave: e dove si recava? Non lo sapeva "Signore, lo interpellò il pilota, a qual popolo volete portar voi la guerra?" - " a quello contro il quale iddio è sdegnato", gli rispose il Vandalo. (5)
Alarico muoveva alla volta di Roma: un eremita arrestò il conquistatore sul suo cammino, e gli ricorda che il Cielo vendica le sciagure sulla terra. "Non posso arrestarmi, gli rispose Alarico; una forza sconosciuta mi incalza e mi spinge al saccheggio di Roma". Assedia per ben tre volte, prima d'impadronirsene, l'eterna città. Giovanni e Brazilio che lo scongiurano perchè dovrà combattere contro una moltitudine di gente alla disperazione, rispose " L'erba folta si falcia meglio". Comunque si lascia piegare, e si accontenta di esigere dai supplicanti l'oro, l'argento, ogni prezioso oggetto, e gli schiavi di origine barbara: "O re, esclamarono gli inviati del Senato, e che rimarrà dunque ai Romani" - "la vita" ripose il vandalo.(6)
"Un mandriano scopre una spada nascosta sotto l'erba, e la reca al principe tartaro. Attila la prende, e sopra questa spada, che egli denomina la spada di Marte (Prisco), giura che egli ha diritti al dominio del mondo. Attila soleva dire "La stella cade, la terra trema, io sono il martello dell'universo". Si nominava egli stesso col titolo che il mondo gli aveva apposto, Flagello di Dio (Rerum hungaricarum scriptores)
(1) Chautebriand - Jornand, cap 35, De reb. Get.
(2) Chautebriand - Ex Prisco rhetore gothicoe historia excerpta, p. 60
(3) Chautebriand - Id, p.48-49)
(4) Chautebriand - Jornand, cap 38, De reb. Get.
(5) (6) Chautebriand - Sozim, De bello vandalico, lib, I, p. 188, p.106)