Caduto l'impero romano, i guerrieri del Nord, avidi di terre fertili e città fiorenti invadono l'Italia. Uno dei primi saccheggi travolge una città tipica della romanità, Aquileia
Era la
primavera del 568, quando il re longobardo Alboino alla testa del proprio popolo
abbandonò la Pannonia (le odierne Ungheria e Slovenia), deciso a recarsi in
Italia. "Quando dunque re Alboino" racconta il cronista Paolo Diacono "giunse ai
confini dell'Italia con tutto il suo esercito e con una moltitudine di popolo
promiscuo, ascese un monte che si innalza in quei luoghi e di lì contemplò
quella parte d'Italia fin dove poté spingere lo sguardo." Come Mosè, dunque,
anche il sovrano longobardo si era fermato a rimirare la propria terra promessa,
che si estendeva rigogliosa ai suoi piedi. I Longobardi non erano i primi
barbari a fare il proprio ingresso in Italia. Prima di loro visigoti, unni,
ostrogoti ed altri avevano valicato le Alpi, violando i confini della culla
dell'impero.
Una tacita rassegnazione permeava ormai l'atteggiamento dei
latini, sfiancati da un ventennio di guerra combattuta tra bizantini e ostrogoti
per il possesso della Penisola. Le prove, però, non erano finite. Nuovi barbari
calavano dal Nord, forse ancora più spaventosi dei precedenti con quelle lunghe
barbe incolte, forse ancora più rozzi perché per nulla avvezzi a trattare con i
romani e profondamente legati alla proprie tradizioni nazionali. Avendo ancora
negli occhi le distruzioni provocate da Attila e negli orecchi i racconti delle
sue violenze e dei suoi saccheggi, Paolino, patriarca di Aquileia, avrebbe
quindi raccolto le reliquie e il tesoro della propria chiesa per fuggire
nell'isola di Grado. Seguiamo quindi i suoi passi affrettati lungo la strada
romana che da Aquileia porta verso Sud, verso quella malsana laguna, che offrirà
ai profughi il necessario asilo. Paolino abbandona la propria città, ma troppo
pochi sono i tesori che egli può portare in salvo. Secoli di storia sotto
l'egida romana hanno infatti reso Aquileia una delle città più fiorenti del nord
Italia. Fondata nel 181 a. C., come ci racconta lo storico Tacito, Aquileia è
sempre stata la porta orientale d'Italia, città di confine, aperta, per la sua
stessa posizione, a ricchi traffici con l'Oriente dell'impero, ma anche esposta
ai colpi di quei barbari che si affollano oltre il limes, ansiosi di spartire la
grandezza di Roma. Nella zona, come attestano i rilievi archeologici,
risiedevano già popolazioni di stirpe veneta ed Aquileia sarebbe divenuta nei
loro confronti dispensatrice del progresso romano.
Base militare
strategica nella conduzione delle campagne militari nell'Est, la città
sarebbe cresciuta anche come preziosa intermediaria tra Oriente ed Occidente.
Qui, ad esempio, affluiva dal Baltico l'ambra, che gli artigiani locali
lavoravano poi con singolare maestria. Fornaci cuocevano ogni giorni vasellame,
anfore e tegole, il corno e l'osso venivano finemente intagliati, il legno
trasformato in agili imbarcazioni. Nel porto fluviale lungo il Natisone
commercianti, navigatori e compratori si affollavano per ricevere le nuove merci
in arrivo e preparare i carichi in partenza. Una banchina di oltre 400 metri di
lunghezza, costruita con pesanti blocchi di pietra costeggiava la riva del
fiume. Dotata di due livelli d'attracco per le diverse maree con rampe e scale,
piloni d'ormeggio, essa si affacciava anche su una lunga teoria di magazzini,
destinati alla raccolta delle merci. Nel III secolo, Aquileia non può non
rimanere coinvolta dall'anarchia che dilaga nell'impero.
Il fianco di un
altare ci mostra l'effigie della città in ginocchio davanti a Roma mentre
implora la Città Eterna di soccorrerla. Nel 238, infatti, essa è assediata
dall'imperatore Massimino il Trace, nemico pubblico del senato. Sconfitto
Massimino, sarà però Aquileia a prendersi la meritata, anche se breve, rivincita
con la salita al trono imperiale dell'aquileiese Quintilio, che tuttavia
manterrà il potere per un solo mese (270). Divenuta, con riforma dell'imperatore
Diocleziano, capitale della circoscrizione della Venetia et Istria,
Aquileia aprirà le proprie porte anche al Cristianesimo. Secondo la tradizione
sarà Ermagora, discepolo dell'evangelista Marco, a predicarvi per primo. Il
vescovo Teodoro agli inizi del IV secolo vi farà poi costruire diversi edifici
adibiti al culto. Tra di essi spicca la Basilica, edificata in una zona
periferica della città, nei pressi del porto fluviale. Costituita da due aule
affiancate, essa serba ancora le originarie decorazioni musive pavimentali, che
si ispirano al sacramento del Battesimo ed alla visione del Paradiso. L'edificio
che Paolino si apprestava ad abbandonare era però differente da quello che oggi
possiamo ammirare, frutto di rifacimenti più tardi, ma questi mosaici c'erano
anche allora.
Forse, prima di partire,
Paolino li avrà lentamente
misurati con i propri passi, rattristato dall'impossibilità di salvare questo
tesoro. Forse avrà osservato ancora una volta con curiosità quei visi un po'
severi, che ritraggono i donatori, che hanno finanziato questa opera. Calcando
le decorazioni, tra cui ve ne è anche una che raffigura l'episodio biblico di
Giona, egli avrà forse pensato a quelle acque che si apprestava a traversare,
sperando che proteggessero lui e la sua gente dai barbari. Allontanandosi verso
Sud, Paolino volta le spalle agli edifici dove tante volte ha officiato ed al
porto che sorge dietro di essi. I suoi moli si stanno velocemente interrando,
sabbia e detriti vi affluiscono al posto delle ricche merci di un tempo. In
lontananza il patriarca riconosce le costruzioni del Foro con i loro portici e
poco più in là il circo, le terme, splendidamente intarsiate di marmi, e
l'anfiteatro che erano stati animati luoghi della vita aquileiese. I fuggitivi
abbassano lo sguardo commossi ed affrettano il passo. Sulla strada si imbattono
in qualche sepolcreto romano. Monumenti funerari e sepolcri gentilizi si
affacciano sulla via come per rammentare ai passanti la caducità della vita
umana. Giunti alla laguna i fuggiaschi proseguono il proprio viaggio chi per
mare, chi, più faticosamente, per terra. Una strada romana unisce infatti i
pochi, solidi lembi di terraferma della laguna fino a Grado. Oggi le ricerche
archeologiche ne hanno in parte rintracciato i percorso. La moderna strada
sopraelevata che attraversa la laguna ripercorre quindi quasi gli stessi passi
di Paolino e dei suoi in fuga davanti ai Longobardi.
In lontananza
essi forse riescono già a distinguere Grado ed il suo castello. La salvezza
appare sempre più vicina anche se non si può fare a meno di volgere lo sguardo
indietro verso i luoghi e la vita che si sono abbandonati. Grado è comunque come
una seconda patria. Da sempre è legata ad Aquileia ed è soprattutto nell'età
tardo-antica che ne è divenuta il principale sbocco sul mare. Aquileia,
soffocata dall'interramento del suo porto, trova infatti in canali artificiali
nuove strade verso il mare su cui Grado si affaccia. Lo stesso nome della città
ne incarna la vocazione di importante approdo marittimo. L'arrivo di Paolino
suggella così per questa città un periodo di crescita e rinnovamento. Il suo
porto è sempre più frequentato e, dopo la venuta del patriarca, Grado può a
ragione essere chiamata Nova Aquileia. Le reliquie ed i tesori portati dalla
terraferma saranno venerati nella chiesa di S. Eufemia, anch'essa impreziosita
da splendidi mosaici policromi, i quali, come ad Aquileia, non mancano di
riprodurre l'incessante moto delle onde.
La laguna e le mura del
castello, i cui contrafforti sono ancora riconoscibili in Piazza Grande,
proteggeranno la popolazione dai Longobardi. Sulla terraferma, intanto, la vita,
malgrado l'arrivo dei Longobardi, proseguiva. Anzi, Aquileia avrebbe avuto un
nuovo patriarca longobardo in concorrenza con quello di Grado. Proprio per
legittimare questo loro presule, i barbari si sarebbero spinti fino alla laguna
e l'avrebbero superata, percorrendo quella stessa strada, che aveva condotto
Paolino e i suoi alla salvezza.
Narra ancora Paolo Diacono:
"Morto
Agone, fu fatto duca Lupo (662). Questi, per una strada che in antico era stata
costruita attraverso il mare, entrò con la cavalleria nell'isola di Grado, che
non è lontana da Aquileia; mise a sacco la città, recuperò e portò via di lì i
tesori di Aquileia." Amaramente, quindi, i romani avevano sperimentato come
nessun rifugio fosse abbastanza sicuro dinanzi ai barbari, ma mentre i
discendenti dei primi fuggiaschi continuavano la propria esistenza sull'isola,
Aquileia, per lungo tempo ridotta a "speco di villici, tugurio di pezzenti",
sarebbe risorta a nuova bellezza. Pochi fra i turisti che oggi si aggirano tra i
reperti del Parco Archeologico o osservano gli oggetti, conservati nelle teche
del Museo civico o di quello di Monastero, sono consapevoli di come all'arrivo
dei Longobardi Aquileia abbia rischiato di cessare di esistere. Lo splendore
della Basilica, ricostruita durante il Medioevo, parla loro di una continuità
malgrado i cambiamenti storici e morfologici. In realtà è stato il prestigio del
proprio passato a salvare questa città, abbandonata persino dal proprio presule.
Davanti ad esso anche i Longobardi si sono inchinati e ne hanno fatto uno dei
cardini del proprio potere.
di ELENA BELLOMO