.M..Matteini
R.
Barducci
Antologia di critica storica
73.
Cominciano le guerre d'Italia: la discesa di Carlo
VIII
Da: H. A. L. Fisher,
Storia d'Europa, vol. II, Rinascimento, Riforma, Illuminismo, Laterza,
Bari, 1938
La discesa in Italia
del re di Francia, Carlo VIII, nel 1494, dette inizio ad una lunga sfida
combattuta fra le potenze europee, che si sarebbe conclusa con il trionfo della
Spagna e l'assoggettamento ad essa del regno di Napoli e del ducato di Milano. I
motivi, lo svolgimento ed il fallimento della spedizione sono analizzate
brillantemente dall'autore inglese Herbert Albert Laurens Fisher nella loro
quasi inestricabile complessità.
Il funesto grido: «La France
s'ennuie» [«La Francia si annoia»], già piú d'una volta udito nella storia di
Francia, si levò nel 1494. Il regno di Luigi XI, cosí ricco di utili vantaggi,
non era abbastanza spettacoloso per soddisfare una nobiltà oziosa ed assetata
d'avventure. [...] E di tutte le possibili avventure la guerra in Italia era la
piú attraente. Qual visione piú affascinante per un giovane ambizioso di una
cavalcata di armature lucenti sotto l'azzurro cielo italiano, attraverso un
paese ridente, fatalmente destinato per le sue discordie politiche interne a
cadere, quando mancasse l'intervento della cavalleria francese, nelle mani dei
Turchi o degli Spagnoli?
Nulla è facile quanto trovare giustificazioni
solenni ad una partita di piacere. A dire il vero, la bandiera turca era
sventolata per qualche tempo su Otranto [presa nel 1480 e liberata l'anno dopo
dagli Aragonesi]. Inoltre gli Aragonesi governavano Napoli, un tempo angioina
(1266-1442), mentre si sospettava che l'imperatore Massimiliano [Massimiliano I
d'Asburgo, imperatore dal 1493 al 1519], inspirato da Bianca Sforza, sua seconda
moglie, nutrisse avide mire sul ricco ducato di Milano, che i principi della
casa di Orléans [ramo collaterale della monarchia francese, cui apparteneva
Carlo VIII] consideravan da tempo come possibile conquista.
Carlo VIII di
Francia, giovane gobbo, licenzioso, sospetto di pazzia, era però il padrone
della piú forte artiglieria d'Europa. Benché i migliori elementi dell'opinione
pubblica di Parigi si dimostrassero contrari all'avventura italiana, essendo il
regno sconquassato, le finanze incerte, e la marina appena sufficiente alla
difesa del Mediterraneo, il re cedette alle proposte di quanti, giungendo a lui
da Milano e da Firenze, da Roma e dalla Calabria, lo tentavano con le loro
lagnanze, aspirazioni ed offerte. Egli doveva scendere in Italia, non soltanto
come conquistatore, non soltanto come pretendente al dominio napoletano, ma con
la stella della libertà fiammeggiante sui suoi stendardi: e gli Italiani
oppressi sarebbero accorsi sotto le sue bandiere, riempiendo i suoi scrigni di
ducati. Doveva restaurare la repubblica a Firenze, cacciare gli Aragonesi da
Napoli, e poi forse, quando l'Italia riconoscente giacesse prostrata ai suoi
piedi, cacciare i Turchi dall'Europa e cingere la corona imperiale sulla sua
fronte vittoriosa. I suoi gendarmi a cavallo, reclutati tra l'alta e la piccola
nobiltà di Francia, il suo formidabile corpo di alabardieri e lancieri svizzeri
e tedeschi, i suoi arcieri guasconi e la sua artiglieria rapida e leggera,
ultima conquista del genio meccanico francese, dovevan suscitare in Europa
un'impressione non facilmente dimenticabile.
Le precauzioni diplomatiche non
furono trascurate. Avendo, per i buoni uffici della reggente sua sorella [Anna
di Beaujeu, che regnò dal 1483 al 1491 al posto del fratello tredicenne],
sposato Anna, erede della Bretagna (1491), Carlo era al sicuro da ogni attacco a
nord-ovest. Per poter attraversare le Alpi senza preoccupazioni, si procurò
l'acquiescenza della Spagna, con la cessione della Cerdagna e del Rossiglione
(due province ai confini dei Pirenei, date in pegno a Luigi XI da Giovanni II
d'Aragona) [ma dal Cinquecento definitivamente acquisite dalla Francia] e si
assicurò la pace sulla frontiera orientale cedendo all'imperatore la Franca
Contea. Ma, nonostante queste generose concessioni territoriali, esisteva una
circostanza contro cui Carlo era impotente. Per nessun trattato al mondo un re
spagnolo avrebbe tollerato i Francesi a Napoli. E non soltanto per una questione
d'onore: ché i granai di Sicilia fornivano un opportuno supplemento ai magri
raccolti spagnoli.
I pericoli dell'avventura italiana, grandi in ogni caso -
ché nessun paese popoloso e civile si sottomette facilmente all'invasione di
trentamila licenziosi soldati stranieri - erano maggiori a causa di un
importante mutamento verificatosi da poco tempo nella struttura politica della
Spagna. Il matrimonio di Ferdinando e Isabella, nel 1469, aveva unito il regno
di Castiglia col regno d'Aragona. [...] In virtú di quest'unione, la Spagna
diventò di colpo una grande potenza europea, forte per terra e per mare,
conquistando una posizione di predominio mondiale che conservò sino alla fine
del secolo XVI.
[...] Come tutte le successive invasioni francesi in Italia,
l'impresa di Carlo VIII (1494) si risolse in un immediato trionfo seguito da un
improvviso e completo disastro. La fortuna arrise dapprima all'esercito
scintillante nelle sue armature medievali ed al suo imponente seguito
d'artiglieria. Ludovico Sforza [detto il Moro, 1452-1508], capo di Milano, che
aveva invitato l'invasore, non era uomo da impedirne l'avanzata. Il domenicano
Savonarola, uno di quei grandi predicatori puritani che di quando in quando
sorgono nel Mezzogiorno latino e cattolico, accolse i Francesi a Firenze, come
liberatori. Roma gli aprí le porte. Senza colpo ferire, Carlo si trovò padrone
del regno di Napoli. Ma soltanto quando lo scopo principale della campagna
pareva raggiunto, si rivelarono le vere difficoltà. L'esercito degli invasori,
composto di tedeschi e di svizzeri, non era, come l'aveva immaginato il
visionario Savonarola, uno stormo di angeli purificatori, mandati da Dio a por
fine al lusso, alla libidine ed agli abusi della Chiesa papale, ma una massa di
villani, licenziosi e brutali (tranne qualche luminosa eccezione), come quasi
tutte le truppe francesi e tedesche di quel tempo. Nel suo passaggio verso il
Sud l'esercito si lasciò dietro una scia di furente indignazione. Si formò
immediatamente una lega italiana, per respingere gli invasori e tagliar loro la
ritirata. Sul campo di Fornovo (1495), Carlo si salvò rompendo le file nemiche
e, con questa vittoria a suo credito, ma perdendo anche l'ultimo palmo di
territorio italiano, ritornò al paese natio.