Legio Linteata
I
Sanniti furono guerrieri valorosi e ben organizzati. Come tanti popoli,
allora ed ancora oggi, avevano nel loro esercito un certo numero di
combattenti che formavano un gruppo scelto di guerrieri. Era la Legio
Linteata, una devotio a divinità dell'Olimpo sannita che,
dopo una particolare cerimonia sacra, diventava una casta di guerrieri
votata al sacrificio estremo pur di difendere il proprio popolo. Sulla
legione e sulla cerimonia che la consacrava, ci sono giunte solo le
testimonianze di Tito
Livio nei suoi Annales, ma molti sono i reperti archeologici
venuti alla luce in questi ultimi anni che in parte avvallano ciò che
Livio ha scritto. |
...alla guerra questi (i Sanniti) s'erano preparati con lo stesso impegno e con gran dovizia di fulgide armi; e ricorsero anche all'aiuto degli dei, giacché i soldati erano stati iniziati alla milizia prestando il giuramento secondo un antico rito, e s'era fatta una leva per tutto il Sannio con una nuova legge, in virtù della quale chi fra i giovani non fosse accorso alla chiamata dei comandanti, e chi si fosse allontanato senza il loro ordine, doveva essere consacrato alla vendetta di Giove. Poi tutto l'esercito ricevette l'ordine di radunarsi ad Aquilonia. Vi si raccolsero circa 60.000 uomini, il fiore delle milizie ch'erano nel Sannio. |
L'AREA
DEL GIURAMENTO DEI LINTEATI |
Compiuto il sacrificio, il comandante fece chiamare da un messo i più nobili per stirpe ed imprese; essi vennero introdotti ad uno ad uno. Oltre agli altri sacri apparati, atti ad infondere nell'animo il timore religioso, v'erano anche nel centro del recinto, tutto coperto all'intorno, are e vittime uccise, e v'erano schierati in giro guerrieri con le spade sguainate. Il giovane veniva condotto davanti agli altari più come vittima che come iniziato, e gli si faceva giurare che non avrebbe rivelato ciò che avesse visto o sentito in quel luogo. Lo costringevano a giurare secondo una formula terribile fatta apposta per invocare la maledizione su di sè, sulla famiglia e sulla sua stirpe, se non fosse andato a combattere là dove i comandanti lo avessero condotto e, se fosse fuggito dal campo di battaglia, oppure avesse visto fuggire un altro e non l'avesse immediatamente ucciso. |
Alcuni
che s'erano dapprima rifiutati di prestare tale giuramento furono
trucidati attorno agli altari; i loro cadaveri, abbandonati in mezzo
all'ammasso delle vittime, servirono d'esempio agli altri perché non si
rifiutassero. Quando i più ragguardevoli tra i Sanniti si furono
impegnati con tale imprecazione, il comandante ne designò dieci, e ad
essi fu ordinato di scegliersi ognuno il proprio compagno, finché
avessero raggiunto il numero di 16.000. Quella legione fu chiamata
"linteata" dalla copertura del recinto in cui era stata
consacrata la nobiltà; a questi guerrieri furono date fulgide armi ed
elmi con pennacchio perché si distinguessero da tutti gli altri. V'era
poi un altro esercito, di poco più di 20.000 uomini, che non sfigurava
di fronte alla legione linteata nè per aspetto fisico dei soldati, nè
per la gloria, nè per le armi. Questo contingente di uomini, che
rappresentava il cuore delle milizie, s'accampò nei pressi di Aquilonia
(1). La
Legio Linteata appare anche nella descrizione di un altro
avvenimento narrato negli Annales, accaduto però nel 309 a.C. |
Due
erano gli eserciti: gli scudi del primo li cesellarono in oro, quelli
del secondo in argento; la forma dello scudo era la seguente: più larga
la parte superiore, da cui son protetti il petto e le spalle, e
orizzontale in cima; più appuntito in basso, per lasciare libertà di
movimenti. |
In
effetti Livio descrive queste particolari schiere con armi ed
atteggiamenti troppo gladiatori, forse influenzato dalle gesta e
probabilmente dalla figura di quei Sanniti che ai suoi tempi erano
considerati i più abili e crudeli guerrieri d'arena. |
NOTE |
Tempo fa, nel deserto della Tunisia, una spedizione archeologica ebbe la fortuna di localizzare una antica fortificazione a Ksour es-Saf e, dopo opportune analisi storiche e topografiche, si ritenne di aver identificato uno dei luoghi dove Annibale e le sue truppe si erano stabiliti dopo il ritorno dalla campagna bellica d'Italia. Tra i vari ritrovamenti avvenuti durante gli scavi archeologici succedutisi alla scoperta, destò molto stupore il rinvenimento di una corazza di bronzo dorato finemente lavorata. Questa si presentava ben conservata in ambedue le valve (3), essendo stata ritrovata in uno strato di sabbia compatto avvolta dentro a quello che rimaneva forse di un drappo policromo; i fermagli delle fibule metalliche che univano le due valve hanno la forma a testa di toro e le decorazioni della figura centrale sono costituiti da rami di cerro e da ghiande. |
La
figura centrale, una testa con elmo con pennacchi, porta al collo una
collana di ghiande come quella cesellata, ma di dimensioni maggiori,
posta nella parte superiore della valva anteriore. |
Un'altra
tipica rappresentazione di questa forza era la figura della ghianda, che
ricordava sinteticamente la pianta.In effetti, presso i Sanniti, il
simbolo del cerro era collegato al culto di Ercole, divinità
dell'Olimpo italico venerata in molti santuari dell'antico Sannio. |
Invece nella battaglia di Cannae del 216 a.C. furono proprio i Sanniti, ormai inclusi nelle file militari di Roma, a dare filo da torcere ad Annibale, ed in particolar modo nei pressi di Geronium dove il "magister equitum" dei Fabii, M. Minucio Rufo, fu salvato dalla disfatta proprio per l'intervento delle schiere sannite comandate dal pentro Numerio Decimio. |
Ma dopo la rovinosa disfatta romana di Cannae, qualcosa accadde tra le schiere degli Italici che, dopo l'accordo tra la città di Capua ed Annibale, passarono deliberatamente non proprio dalla parte del cartaginese ma ad uno stato di cosciente astensione da molte di quelle vicende belliche. Tra i Sanniti solo i Caudini e gli Irpini defezionarono da Roma; i Pentri non lo fecero, ma qualcuno di questi sicuramente seguì il condottiero cartaginese quando decise di marciare su Roma. In seguito Annibale, ormai sconfitto dall'inerzia dei romani (la "strategia del logoramento" come la chiamavano nell'Urbe), abbandonò l'idea della conquista italiana e, dopo una parentesi sicula, scelse di tornarsene in Africa, più che altro sospinto dagli eserciti consolari. Così sicuramente gli si accodarono anche quei guerrieri sanniti che lo avevano seguito fin sotto le mura dell'Urbe, per sottrarsi a quella morte infamante che, inclemente, spettava ai traditori di Roma. Solo in questo modo la corazza sannita può esser finita tra le sabbie del deserto tunisino; in caso contrario sarebbe stato poco probabile che i Sanniti avrebbero permesso di catturare una preda bellica di tanto valore alle truppe annibaliche. |
Anche
se le gesta di Annibale in Italia risalgono alle prime decadi del III
secolo a.C. e quindi ad un periodo di tempo di poco postumo agli
avvenimenti delle Guerre Sannitiche, è probabile che la corazza,
anch'essa risalente al III secolo a.C., facesse parte del corredo di un
guerriero della "Legio Linteata" e che tale corredo sia stato
conservato dai discendenti che l'avrebbero indossata soltanto quando gli
avvenimenti fossero stati tali da far scendere in campo di nuovo i
"Linteati". |
La
forma tipica della corazza sannitica è quella a tre dischi, solitamente
in bronzo ma anche in ferro. Molte sono le rappresentazioni pittoriche
dove il guerriero sannitico viene rappresentato con questo tipo di
corazza che sembra essere divenuto, con il tempo, l'emblema
dell'esercito regolare. Altre corazze come quelle a disco singolo, con
raffigurazioni di animali fantastici o mitologici, completano le
tipologie delle corazze finora rinvenute. |
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